Monte Sirente

La più classica salita a questa cima.
Inevitabile tornarci ogni qualche anno, indimenticabili le viste dalla vetta del Sirente, montagna vera; il versante Nord è un mare agitato di roccia, pinnacoli, valloni e ghiaia che scendono ripidi, attirano e respingono insieme in un richiamo continuo. Il dislivello è notevole, in costante pendenza ma ogni fatica da sopportare si dimentica in fretta quando si raggiunge la cima.


Un piacevole ritorno su una delle vette più belle dell’Appennino, dallo chalet per la Val Lupara, ovviamente si parla del Sirente; una ripetizione, una delle tante, non c’è nulla da raccontare quindi se non che questa volta non mi ha voltato le spalle, come di norma ha fatto con me quasi tutte le volte che l’ho avvicinato, e che si è mostrato nel suo splendore ruvido senza nuvole a dar fastidio. Motivo per cui è inutile prolungarsi nella descrizione dell’escursione. E invece no, vale sempre la pena parlare di questa via e ricordarla per quanto è bella e per le viste che offre. Partenza come detto dallo chalet del Sirente più o meno a metà distanza tra Rocca di Mezzo e Secinaro, lungo la stupenda strada che costeggia il muraglione del Sirente, ogni volta che la percorro succede lo stesso miracolo di non uscire fuori strada a forza di stare sempre col naso all’insù. Sulla destra dello chalet si stacca un sterrata ampia, si supera una sbarra normalmente aperta e dopo più o meno trecento metri al primo incrocio si prende a sinistra in salita; la sterrata devia subito sulla destra a fianco di grossi roccioni e da qui in poi occorre stare all’erta per non trascurare (l’abbiamo fatto) la deviazione per la salita per la val Lupara dopo poche centinaia di metri. Un grosso omino e dei segnali espliciti segnalano chiaramente l’incrocio da prendere a destra e in salita, si deve abbandonare l’ampia sterrata per una traccia poco marcata se non dai segnali sugli alberi. E’ facile trascurare la deviazione, la comoda sterrata, in fondo presa da pochi minuti, invita a continuare veloci, basta solo prestare un minimo di attenzione e sapere che la deviazione importante arriva quasi subito. Imboccato il sentiero nel bosco non rimane che seguirlo, frequenti i segnavia stampati sui faggi, fino a quota 1750 mt, quando si esce dalla faggeta e ci si trova al cospetto della Neviera (2 ore), per me una delle fotografie più belle, quasi dolomitica, degli Appennini. Al cospetto di queste torri ci si ferma sempre, la scusa di mangiare qualcosa, quella di rifiatare, l’escursione potrebbe finire qui. Invece si riparte alla volta della vetta, una traccia continua sulla destra a sfiorare la faggeta, ci rientra per uscirne definitivamente dopo circa 300mt, da li in poi la traccia è chiara e netta, a parte l’uscita in cresta, ma sempre in salita e per qualche tratto anche irta; inizia da subito col salire e superare uno sperone, e poi dopo un traverso, un secondo, piccoli traversi e serrati tornanti franosi per salire i pendii più ripidi; gli orizzonti si allargano ad ogni passo, le linee del Gran Sasso e della Majella diventano compagne assidue della giornata. Tra il primo ed il secondo sperone, nell’ampio vallone ripido che precipita a valle ristagnano alcune lingue di neve tanto che per brevi tratti siamo costretti a metterci i piedi, salire sul secondo sperone è scomodo, la traccia è scomposta e rovinata dallo scavare dell’acqua, inutile dire che è ripida. Ad ogni passo si scopre il muraglione che contiene la val Lupara, e che la divide dal canale Maiori, una lingua di rocce verticali che scendono dall’alto, belle e aspre come lo è tutto il versante Nord di questa montagna. Si entra nella val Lupara, si cominciano a perdere le dimensioni, il traverso che c’è davanti, la linea di cresta su in cima, sembra tutto facile, a portata di mano, ci rendiamo presto conto che non lo è affatto; la lingua di ghiaia che scende dall’alto precipita incuneandosi in una strettoia della valle fino a perdersi nel bosco giù in basso. Si sale a sbalzi, qualche tratto è più ripido e il traverso diventa spesso vera salita, si sfiorano balze rocciose e ci si alza fino ai contrafforti del crestone dove alte e ripide lingue di neve coprono senza via di scampo la traccia del sentiero; è necessario seguire altre vie per salire, tante sono le tracce forse di chi ci ha preceduto, tutte sono approssimative, poco assestate segno evidente di invenzioni sul momento; mi tengo verso destra, verso il centro della valle e costeggio le rocce superando una solida pietraia, per linee più o meno logiche raggiungo la parte sopra la pietraia dove l’erba ha conquistato territorio e lo ha consolidato, invito, meglio quasi costringo Marina a seguirmi, non ama i fuori sentiero ma se la cava alla grande, con meno impegno di quello che sembrava da sotto sbuchiamo in cresta (+2ore). L’orizzonte si apre sul versante Ovest, sulla piana di Avezzano, sul monte Etra sul monte Tino, più lontane e confuse nella foschia le montagne del parco. C’è ancora da salire, Marina non ne vuole più ma il Sirente, il simbolo di ciò che lo rappresenta, la vetta, è lassù e fa gola, seguendo una traccia marcata che sale agile con frequenti tornanti saliamo l’ultimo tratto ripido, ci si spalanca a destra l’imbuto del canale Maiori, la croce di vetta si intravede già, anche se più lontana di quello che ricordavamo. Finalmente spiana quando si raggiungono i grossi blocchi che formano la corona della vetta, le piccole vallette interne sotto la cima sono ancora colme di neve fracida, le attraversiamo che proviamo quasi piacere, la vetta è lì sopra, la raggiungiamo facilmente (+40min.) e come sempre non è deserta. L’affaccio è spettacolare, è sempre una prima volta, il canale Maiori è una voragine, uno scivolo senza fine, una ferita profonda nella montagna, attira e respinge insieme, tutta la linea di cresta è spettacolare. Una singolare montagna il Sirente, tutto l’Appennino centrale ha la marcata differenza dei versanti, quelli Est/Nord-Est sempre molto marcati e ripidi mentre quelli ad Ovest/Sud-Ovest filano con pendenze degradanti e quasi sempre prative, ma qui si trova l’esaltazione del contrasto; ruvido, ripido, roccioso, straripante di valloni insaccati e pinnacoli quello da dove siamo saliti, lento in un digradare di valli e doline quello che aggetta ad Ovest verso la valle d’Arano e il monte Etra. In vetta rimaniamo a lungo perché spossati dalla salita, ormai questo tipo di escursioni le paghiamo, si susseguono vari arrivi in vetta, quasi un pellegrinaggio, una coppia ha salito integralmente il Maiori, non vorrei essere al loro posto ma li invidio; compaiono nei blocchi sotto la vetta a debita distanza piccoli gruppetti di camosci, non li avevo ma i incontrati quassù, ripartiamo con la speranza di avvicinarli ma si dileguano, a modo loro, perché quando siamo sulla neve delle piccole piane sottostanti ce li ritroviamo dietro, hanno questo potere di sparire e riapparire che manco te ne rendi conto che si stanno muovendo. Riesco a rubare qualche bella foto, come sempre sono curiosi e la voglia di fuga riescono a vincerla, alcuni sono ancora poco più di cuccioli. Il ritorno è per la stessa via dell’andata, impossibile non affacciarsi subito sul canale Maiori, è catalizzante e senza fine, attira come una calamita e respinge nello stesso tempo; alla sella successiva imbocchiamo la val Lupara, meno ripida del Maiori se pur profonda e austera, i primi passi incerti sono alla ricerca della linea di salita, avevo lasciato qualche omino per ritrovarla facilmente, poi scorgiamo nel ghiaione recenti tracce di qualcuno che ci ha preceduto e sicuramente più agevoli e veloci; aggirano la pietraia e convergono sul sentiero che più sotto sul destra taglia la valle fino allo sperone successivo; superiamo la val Lupara velocemente, e poi il canale successivo molto più piccolo, di nuovo uno sperone panoramico e l’ultima discesa ripida verso l’affaccio sulla Neviera (+1,30 ore) da cui si riprende definitivamente il bosco. La segnaletica sempre puntuale aiuta, tanto che scendiamo veloci, e con un ulteriore ora raggiungiamo lo chalet. Il primo pensiero che ho avuto che ancora non eravamo in vista lo chalet, anzi mi aveva sfiorato alla ripartenza dalla vetta ma non ci avevo badato, è che forse quella di oggi potrebbe essere l’ultima salita su questa cima dolomitica; il concetto di ultima è assoluto e forse troppo spinto, in ogni caso salti come questi (1300mt) stanno diventando impegnativi e dal momento che le montagne sono tante le energie vanno misurate e veicolate. Il Sirente rimane una delle montagne più affascianti da raggiungere ma tante volte mi ha visto, ci ho anche dormito poco sotto la vetta e ci ho preso imbarcate d’acqua pazzesche, mi ha regalato emozioni incredibili quando saliti nelle nuvole e ormai senza speranze ci siamo ritrovati al sole a pochi metri dalla cresta, indimenticabile; insomma se pur mi ha dato tanto incomincio a pensare di dover selezionare alcune vette, quelle lontane e quelle raggiunte più volte da una parte, credo che il Sirente debba essere una di queste; rimarrà un’icona e una tentazione ancora e ancora e sono certo che mi limiterò a fargli visita ogni qual volta mi troverò ai piani delle Rocche, lo guarderò da sotto e come tutte le volte mi farò rapire sognando la vista austera della vetta…